giovedì 29 giugno 2017

Centocinquanta anni e un giorno

Centocinquanta anni e un giorno. Centocinquanta estati torride e inverni piovosi, e un giorno. Tanto è passato da quando Luigi Pirandello nacque, in anticipo rispetto a quanto aveva previsto sua madre, nella contrada Càvuso. Nome dialettale che poi lui idealizzò in Kaos, nomen omen della sua prosa e del suo teatro. Si erano trasferiti in campagna da Porto Empedocle per sfuggire al terribile colera, che aveva ricominciato a uccidere in Italia per l'ennesima volta, e così senza volerlo fu marchiato girgentano di nascita. Il caos primigenio, avrebbero detto i greci, continuava a mescolare le carte. Lui sarebbe diventato "il figlio cambiato", avrebbe scritto tanti decenni dopo Andrea Camilleri.

Centocinquanta anni e un giorno fa: una donna gravide, le doglie improvvise, il parto, un nuovo figlio. La vita cambia, in continuazione, e in quel momento la madre Caterina neanche si chiedeva come sarebbe stato il mondo centocinquanta anni dopo. Erano altre le sue preoccupazioni: la famiglia, il futuro dei suoi bambini, il marito.

Cosa sono centocinquanta anni e un giorno, nella storia del nostro pianeta? Nulla, un battito di ciglia. L'abbozzo di un respiro, per le montagne e i mari che pur mutando restano per noi sempre gli stessi. Per noi, invece, quasi un'entità che riusciamo a misurare ma non a capire appieno. E quanti, in centocinquanta anni e un giorno, sono nati, vissuti? Quanti alla fine sono morti? "Il loro ricordo svanisce", dice il libro di Ecclesiaste. I cimiteri sono pieni di statue e lapidi che nessuno più visita.

Ma il poeta, lo scrittore, l'artista, loro hanno un destino diverso: resistere alle pieghe del tempo. Farsi ricordare, centocinquanta anni e un giorno dopo, e farci ancora piangere, sorridere o riflettere. Come se si fossero mutati in alberi secolari, sotto i quali ci si siede per riposare e pensare, e non fossero più le spoglie di uomini fatti un tempo di carne e umori alimentati dal sangue pulsante. Non si sono limitati a tornare in polvere, ma dalle loro ceneri è nato qualcosa.

Oggi ripensiamo a quel 28 giugno 1867 di centocinquanta anni e un giorno fa, e ci rendiamo conto di quanta ineffabile sia la differenza tra il destino di un nascituro e un altro, destino che loro stessi costruiranno con la determinazione o con l'apatia. Sono tutti uguali i bambini, ma le loro vite sono misteriose e imprevedibili e non coincideranno mai.


Bibliografia

  • Ecclesiaste (Qoèlet) 9:5, CEI.
  • Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato, 2003

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