Quando, poco meno di due anni fa, nella libreria che frequento furono create nuove sezioni dedicate alla massoneria, ai templari e al Santo Graal, restai un po' perplesso. A mala pena c'è uno scaffale dedicato alla religione (dove ecumenicamente convivono testi di Papa Ratzinger, il Corano e Sri Baba), e appena due alla filosofia antica e moderna. Ma per
Il Codice da Vinci di Dan Brown e tutta la letteratura sorta attorno,
tre interi scaffali, oltre alle esposizioni di edizioni pregiate, con le foto, a caratteri grandi e forse fregiate in oro zecchino!
Che gran schiamazzo, per questo
Codice! Bel romanzo, trama affascinante, colpi di scena: ma
Angeli e Demoni dello stesso autore sarebbe, secondo me, molto più interessante, soprattutto nel finale. Un successo editoriale, non c'è dubbio, e se questo ha accostato alcuni al mondo della lettura, che ben venga.
Ma è possibile che ci siano tanti che abbiano sposato a occhi chiusi la filosofia del
vox populi, vox dei, pensado che Brown scriva di fatti
storici? La mia perplessità non nasce dal temere di discutere quello in cui crediamo, ma dalla incredibile idiozia che sta alla base del diventare seguaci di una storia di fantasia, senza il minimo senso critico.
Mi è venuto in mente quello che Umberto Eco ha scritto nel suo
A passo di gambero (pagg. 271-2):
Credere a Dan Brown
Il Codice da Vinci è un romanzo, e come tale avrebbe il diritto di inventare quello che vuole. Oltretutto è scritto con abilità e lo si legge d'un fiato. Né è grave che l'autore all'inizio ci dica che quello che racconta è verità storica. ... Il guaio comincia da quando ci si accorge che moltissimi lettori occasionali hanno creduto davvero a questa affermazione, così come nel teatro dei pupi gli spettatori insultavano Gano di Maganza.
...
Perché, anche a confutarlo, Il Codice si autoriproduce? Perché la gente è assetata di misteri (e di complotti) e basta che le offri la possibilità di pensarne uno in più (e persino nel momento in cui le dici che era l'invenzione di alcuni furbacchioni) ed ecco che tutti cominciano a crederci.
Siamo liberi di credere in quello che vogliamo, come propone lo stesso Eco, ai templari, nel Trismegisto e nel Terzo Segreto. Ma prima di seguire la corrente, una seria analisi dei pressuposti da cui parte
Il Codice ci costringerebbe quanto meno a documentarci.
E così decisi di fare alcuni anni fa. Prima di leggere il libro di Dan Brown, di cui avevo sentito tanto parlare, decisi di comprare
Il Santo Graal di M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln, titolo originale
The Holy Blood and The Holy Grail (1982). La Mondadori, intuito il business che
Il Codice stava producendo, decise nel 2005 di ripubblicare questo libro in edizione economica a 5 euro, la cui prima edizione era stata del 1982. Sulla copertina c'è scritto in alto:
"Il libro che ha ispirato il Codice da Vinci". Eccoli là, anche loro furbastri, a cavalcare la corrente. Ma d'altronde, direte, è il loro lavoro ...
Praticamente, leggere
Il Santo Graal fa intuire a cosa si sia ispirato Dan Brown. Il libro approfondisce argomenti come Rennes-le-Château, i catari, i templari, i re merovingi taumaturghi, il matrimonio fra Gesù e Maria Maddalena, il Graal, i Gran Maestri del Priorato di Sion, i discendenti odierni (i Gisors, i Payen, i Sinclair, i Plantard ...), ecc.. Una sorta di trattato sulla
"catena di misteri lunga duemila anni" (sempre dalla copertina dell'edizione Mondadori).
Baigent e Leigh, due degli autori, hanno capito che Brown aveva sfogliato il loro testo, e perciò hanno intentato una
causa per plagio, purtroppo perdendola (avrei voluto capire cosa sarebbe accaduto se l'avessero vinta!). Brown, commentando la vittoria, ha detto:
"Il verdetto mostra che la causa non aveva merito. Sono ancora sbalordito dal fatto che questi due autori abbiano voluto intentare questa azione" (fonte: La Repubblica)
All'inizio del procedimento penale, sempre lo stesso Brown si era difeso con le parole:
"Si tratta di fatti storici". Come per dire: sulla storia non c'è il copyright di nessuno. Su questo siamo d'accordo, se io scrivo della vita di Pirandello (così come Camilleri ha fatto, romanzandola, nella sua
Biografia del figlio cambiato), sicuramente non ho plagiato Gaspare Giudice, la cui opera bibiografica sullo scrittore girgentano è fondamentale. Brown avrebbe ragione, se si parlasse di Storia (quella con la "S" maiuscola).
Ma dopo aver letto il libro di Baigent & co., ebbi fra le mani il tanto pubblicizzato
Codice. Non sono il giudice della causa di cui sopra, non sono un esperto di plagi, ma da lettore accanito ho avuto anche io la fortissima sensazione che Brown abbia attinto a grandi mani dal testo del 1982. Praticamente, è stata la sua Bibbia.
Oggi, ai "codicedavinciani" convinti (permettemi il neologismo) consiglio vivamente di leggere
Il Santo Graal. Quanto meno si faranno la convinzione personale che l'approccio di Brown era da veri studiosi, che esistono fonti reali alla base della loro nuova fede, e potranno tenere il testo in questione sul comodino per la pronta consultazione e le orazioni prima di dormire.
Se invece si volesse fare uno studio serio delle premesse da cui parte
Il Codice, consiglierei
La verità sul Codice da Vinci di Bart D. Ehrman (che è davvero uno storico). Benché non concordi con tutto quello che Ehrman dice, mi sembra più serio, meno pretenzioso e più scientifico. Tra l'altro, la Mondadori ne ha fatto un'edizione economica a 5 euro (come quella del testo di Baigent, Leigh e Lincoln), potrete accostarle insieme nella vostra biblioteca salvando l'estetica.
C'è un solo problema: Ehrman mette in dubbio la storicità di quello che Brown vorrebbe farci credere. Ahi ahi, se il mio libraio lo venisse a sapere, perderebbe tre scaffali di libri "che vendono".
Link: Bart Ehrman - La verità sul Codice da Vinci - 2006, Mondadori, "I Miti"