giovedì 22 gennaio 2015

Un nuovo rinascimento culturale?

Mentre il sole freddo di Londra colpisce i vetri del palazzo al di là della strada, e mentre ascolto musica che non mi piace nell'ufficio stile ultramoderno dove passo buona metà delle mie giornate, mi vengono in mente i versi di una vecchia canzone di Juri Camisasca. La musica muore, cantava quaranta anni fa.

E oggi con essa a morire è la cultura in generale. Gli ultimi decenni sono stati attraversati da una sempre più evidente decadenza globale, ma come sempre l'Italia si è distinta. In peggio. Quella che era stata la culla della civiltà romana che aveva scritto la storia, la famosa patria di santi, poeti e navigatori (frase per inciso pronunciata da Mussolini, strani i casi della vita!) oggi si riduce a una specie di grande pozzo nero. Una cloaca che ci pone ai primi posti in Europa nelle classifiche della corruzione e dei disservizi. Per dirla in breve, Pompei crolla. E con essa il Belpaese e il suo patrimonio millenario.

Spesso mi accorgo di come ormai anche l'editoria, come la musica e le belle arti, sia stata infettata dallo stesso virus. Dopo il junk food, quel cibo spazzatura preconfezionato che costa poco e accorcia la vita, è arrivata l'epoca del junk book. Le librerie pullulano di romanzi usa e getta, scritti forse da giallisti norvegesi o con trame di complotti mondiali o a sfondo voluttuoso in varie tonalità e sfumature. Ed entrando in quegli antri meravigliosi che un tempo erano le "case del libro", come immaginavo le librerie di un tempo dove in aria si annusava l'odore della carta ingiallita e di quella nuova, della colla dei dorsi, e delle meravigliose edizioni scontate perché ormai un po' vecchiotte e adatte solo al macero che mi estasiavano, non riesco a provare più quella sensazione.

Certo, ci sono ancora autori che vanno letti e comprati. Ma sono sempre di meno, offuscati da roba commerciale che forse si presenta bene ma dai contenuti scialbi e che domani nessuno ricorderà più. L'amore per le belle cose va spegnendosi.

La domanda che mi faccio è la seguente: è possibile sperare in un nuovo rinascimento culturale? Ci sono le condizioni perché qualcosa si muova in meglio? Perché gli editori e gli autori ricomincino a costruire, a innovare certo, ma ricordando di essere solo nani sulle spalle dei giganti che li hanno preceduti? Perché il libro non sia solo un prodotto commerciale ma soprattutto la rappresentazione tangibile dell'animo di chi l'ha concepito? O siamo condannati a questo arretramento continuo?

Resto senza risposte, perché non le ho. Oggi neanche il sole mi scalda. La musica, l'arte, il libro muoiono.






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