domenica 13 gennaio 2013

Superstizione e tolleranza

A distanza di oltre tre anni e mezzo dal mio post su Pirandello e sicilianità, ritorno a scrivere di un aspetto della sicilianità spesso traslato nelle opere di autori che vengono dall'isola, ovvero il gusto e il vezzo alla superstizione.

Fin dall'antichità, la licantropia, ovvero la mitologica trasformazione di un uomo in lupo, ha suscitato un interesse in varie culture. Erodoto nelle sue Storie scrisse del popolo scita dei Neuri, che vivevano probabilmente nel territorio dell'odierna Polonia, e riportò una leggenda che li riguardava:
Una volta all'anno ciascuno dei Neuri si trasforma in lupo per pochi giorni, poi di nuovo riprende il proprio aspetto. Di questa storia non riescono davvero a convincermi, nondimeno la raccontano, e giurano di dire la verità. (Storie, Libro IV, 105)
Nella Roma antica si narra di uomini trasformatisi in lupi, e Plinio il Vecchio ne riportò "scientificamente" due casi nella sua Storia naturale. Galeno, il cui punto di vista influenzò la medicina fino al Rinascimento, parla di questa "malattia" chiamandola "morbo lupino o canino", e ne descrisse una possibile cura nella sua Ars medica. Fino al Medioevo, quando la questione, diventata ormai quasi una forma di isteria collettiva, fu ritenuta così seria al punto che migliaia sembra siano stati messi al rogo con l'accusa di licantropia.

In Sicilia, il lupinariu, termine forse derivato dal latino volgare lupus hominarius, ovvero "lupo umano o mangiatore di uomini", fa parte dell'immaginario collettivo, e in passato spesso i nonni o qualche vecchio zio raccontavano di famosi lupinari che erano diventati famosi nella città o paese in cui abitavano. Si dice che le mogli degli antichi pescatori messinesi dessero a tal proposito ai propri mariti una pezza di stoffa nera, da mettere sul viso quando dormivano sulle barche al chiaro di luna.

Pirandello non poteva mancare di incarnare questo aspetto della sicilianità più antica, che confonde il sacro con il superstizioso. La novella Male di luna, ripresa anche dai fratelli Taviani come episodio del film Kaos, fa trasparire la paura antica e recondita per l'uomo che affetto dal "male di luna", perde la sua capacità intellettiva e diventa animale. Nel racconto, in realtà Batà, il protagonista che ha nascosto la sua malattia alla sposina Sidora, è la vittima piuttosto che il carnefice: Batà vive questa sua condizione con dolore e vergogna, non potendo controllare il suo problema e non essendone la causa, perché era stato esposto alla luna quando era bambino. Paga le conseguenza di un atto di distrazione della madre, e vive lontano dalla comunità, che lo considera un tipo strano.

Anche Rosario Chiarchiaro, il protagonista della più famosa commedia La patente, è un escluso dalla società che lo considera un menagramo, che però a differenza di Batà decide di ribellarsi a questo suo status, pretendendo appunto la patente di jettatore. Chiarchiaru significa siciliano significa "frana o pietraia", e dà l'idea di un terreno arido, sconnesso e pieno di buche e anfratti, quali appunto psicologicamente è lo jettatore, almeno nella maschera che si è dato. In questo caso, lui non è più la vittima, ma diventa il carnefice, e il povero giudice D'Andrea paga per non avergli creduto con la morte del suo cardellino, ricordo della sua defunta madre, la vera vittima di questo racconto.

Il contrasto tra la condizione "sana" della collettività e la "malattia" del lupinariu o dello jettatore è in realtà uno specchio di come spesso sia altrettanto facile oggi attribuire una cattiva fama a tutto ciò che ci appare inusuale e diverso. La superstizione siciliana è solo uno strumento, perché la diversità è sempre stata considerata un fattore di imbarazzo e spesso di disturbo da ogni società umana. Il crescente revival in chiave antirazzista, il disprezzo per chi ha un'altra cultura o religione, e la tendenza a omologare in categorie ben distinte sono forme sicuramente meno superstiziose ma altrettanto pericolose di quel background che fa da sfondo comune ai due racconti citati, atteggiamento che andrebbe combattuto semplicemente con la tolleranza e il rispetto per gli altri.

Una citazione di Amos Oz riassume bene questo concetto:
Impariamo a rispettare gli altri popoli: ogni uomo è creato a immagine divina, anche se se lo dimentica continuamente (Una storia di amore e di tenebra)
Ricordare più spesso che in fondo apparteniamo tutti alla stessa specie, scientificamente parlando, sarebbe un ottimo detterrente contro la deriva delle idee che hanno portato alla persecuzione e uccisione sistematica di chi era diverso durante il periodo nazi-fascista, e alle quali gli stupidi nostalgici dei bei tempi andati tentano di dare nuova linfa. Quanto spesso ci rendiamo conto che homo hominis lupus, e senza alcun bisogno di credere nella licantropia!

Bibliografia

  • Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, 2003
  • Erodoto, Storie, Libro IV
  • Luigi Pirandello, La patente, 1917
  • Luigi Pirandello, Male di Luna, 1913
  • Lupi mannari in riva allo Stretto, 16/04/2011, su Messina.Sicilians.it

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